Napoli: aumento del costo dei biglietti per i trasporti, le nuove tariffe

Napoli, dal 1° settembre l’aumento del costo dei biglietti per i trasporti, le nuove tariffe

Napoli, parte dal 1° settembre l’aumento del costo dei biglietti per i trasporti pubblici, le nuove tariffe dell’ANM.

La corsa singola passa da 1,20 a 1,30 euro, quella ‘livello 2’, per spostamenti in ambito urbano su tratte di linee suburbane e agli spostamenti su linee su ferro di EAV e Trenitalia, da 1,40 a 1,50.

Il biglietto integrato di 90 minuti passa da 1,70 a 1,80 euro, mentre il biglietto giornaliero Anm da 4,20 a 4,50, con quello integrato che passa dai 5,10 ai 5,40.

Restano invariati, invece, i costi dell’abbonamento settimanale (12,50 Anm e 16,00 integrato), mensile (35,00 Anm e 42,00 integrato) ed annuale ordinario (235,20 Anm e 294,00 integrato).

Anm rende noto, inoltre, che sarà possibile continuare ad utilizzare i titoli pre-acquistati fino ad esaurimento delle scorte personali.

Il nuovo piano tariffario completo

piano tariffario Anm

piano tariffario Anm

Perché in Italia quasi tutto aumenta ma gli stipendi restano sempre gli stessi?

Su l’Economia, viene analizzata la situazione economica del paese. La domanda che spesso tutti si pongono é perchè tutto aumenta e gli stipendi no?
Gli ultimi aumenti sono quelli delle tariffe telefoniche annunciati da Tim. A metà luglio sono scattati i rincari per raccomandate e servizi postali che si sommano a quelli dei prezzi di alimenti, benzina e diesel, di voli, alberghi, trasporti, vacanze, mense scolastiche, affitti e mutui. Grazie agli adeguamenti automatici legati all’inflazione aumentano anche pensioni, assegno unico e assegni di mantenimento, anche se non di molto. Solo gli stipendi per ora restano al palo e valgono sempre meno. I lavoratori, infatti, non esistendo più alcun meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione, non possono contare su nessun paracadute o comunque lo devono negoziare con il datore di lavoro, chiedendo un aumento di stipendio che, stando ai dati, spesso non viene concesso.

Secondo l’Ocse nel 2023 i salari reali – ovvero quelli che tengono conto dell’inflazione e misurano della quantità di beni che i lavoratori possono comprare con la loro paga – in Italia sono calati del 7,5% su base annua. La perdita di potere d’acquisto è confermata anche dai dati Istat, secondo i quali nei primi sei mesi del 2023 la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni supera ancora i 6 punti percentuali.

Ci si trova quindi di fronte a un’ondata di rincari generalizzati, malgrado i prezzi delle materie prime siano rientrati e anche quelli dei beni energetici. A cosa è dovuta? «Da un lato stiamo finendo di assorbire lo shock energetico dello scorso anno e continueremo probabilmente ad avere questi effetti di passaggio almeno per un altro paio di mesi Quindi, malgrado i prezzi energetici stiano scendendo, altri prezzi più legati al consumo di tutti i giorni aumentano», spiega Carlo Altomonte, professore di Politica economica europea dell’Università Bocconi. «Un secondo punto di cui tenere conto è che i profitti delle aziende sono aumentati più dei salari e questo è un fattore che sta pesando molto nel mix redistributivo dell’inflazione», aggiunge. «Così ovviamente il sistema non regge. Se le imprese vogliono continuare a investire sul capitale umano – che in alcuni ambiti in Italia diventa sempre più scarso – devono cominciare a pagarlo di più. E possono farlo tranquillamente, perché i dati ci dicono che i margini di recupero che hanno avuto nel contesto post-pandemico consentono loro di assorbire questi maggiori costi senza scaricarli su un ulteriore aumento dei prezzi», continua Altomonte. Secondo l’economista è probabile che le retribuzioni tornino a salire, recuperando almeno in parte l’attuale gap rispetto al costo della vita, e i prezzi, allo stesso tempo, inizino gradualmente a scendere. Finora però non è così e gli effetti della perdita del potere di acquisto di milioni di salari si ripercuotono sui consumi delle famiglie e sul Pil, come mostra anche il segno meno del secondo trimestre dell’anno.

 

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