Casoria/Frattamaggiore: vendeva prodotti contraffatti sui social

Un uomo vendeva tra Casoria e Frattamaggiore prodotti contraffatti sui social

Un uomo vendeva prodotti contraffatti sui social, la sua base era tra Casoria e Frattamaggiore, vendeva online tramite un noto canale social. La merce consisteva in capi d’abbigliamento, calzature e accessori di moda con loghi di importanti brand internazionali contraffatti. I finanzieri della compagnia Pronto impiego di Aversa hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Napoli Nord su richiesta della Procura aversana, che dispone gli arresti domiciliari nei confronti di F.E., indagato per i reati di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, ricettazione e reati tributari. Disposto anche il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato fino a concorrenza dell’importo di 1,05 milioni di euro e ulteriori 545mila euro circa.

Come si è scoperta la fitta rete di vendita

La Procura di Napoli Nord, attraverso delle indagini sui conti bancari del malfattore, è riuscita ad individuare la fitta rete di vendita. La losca attività era iniziata nel 2020. La base era a Casoria e Frattamaggiore ma l’uomo aveva esteso il suo commercio di prodotti contraffatti su tutto il territorio nazionale. In questo modo è riuscito a crearsi un numero elevato di clienti, ignari della truffa. L’uomo curava anche le spedizioni. Perquisita la base di Casoria dove gli agenti hanno trovato un ingente quantitativo di prodotti ed hanno posto sotto sequestro diverse centinaia di capi d’abbigliamento recanti marchi contraffatti. (NapoliToday)

Analisi della contraffazione nella provincia di Napoli

Secondo un rapporto del Ministero dello Sviluppo Economico, inizialmente, la criminalità organizzata, presente capillarmente sul territorio della provincia, si limitava ad estorcere pagamenti periodici ai titolari delle imprese, ma, col passare del tempo, l’attenzione ed il coinvolgimento dei clan camorristici è aumentato. Partita con la riscossione del pizzo alle imprese, la camorra si è poi infiltrata in tutti i livelli della catena produttiva, inserendosi a monte della filiera con l’acquisto e la gestione – anche tramite prestanome – degli opifici del falso, fino a valle, interessandosi direttamente della distribuzione dei prodotti falsi, attraverso l’imposizione ai commercianti dei prodotti da acquistare.

Le indagini delle Forze dell’Ordine e della Magistratura hanno definitivamente acclarato la presenza di forti ingerenze della criminalità organizzata nel settore della contraffazione, che costituisce un business dall’elevato potenziale remunerativo a fronte di investimenti relativamente contenuti e del ridotto grado di rischiosità rispetto ad altre tipologie di reati per i quali sono previste pene decisamente più severe. Lo testimonia la recidività dei soggetti impegnati nella conduzione di fabbriche illegali che, anche se scoperti e condannati, una volta scontata la pena in breve tornano a svolgere le medesime attività illecite.

L’indagine “Gran Bazar” condotta nel 2016, la più grande struttura criminale dedita alla contraffazione.

Le operazioni di contrasto hanno permesso di venire a conoscenza della complessità del fenomeno, che molto spesso si avvantaggia anche di vere e proprie partnership internazionali. È questo, ad esempio, il caso dell’indagine “Gran Bazar” condotta dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Napoli, e conclusasi ad aprile 2016, che ha fatto emergere una complicata struttura criminale dedita alla contraffazione e ricettazione di prodotti recanti marchi registrati, nello specifico borse e capi di abbigliamento.

Il sodalizio criminale comprendeva tre organizzazioni di stampo camorristico gestite da napoletani. La prima, dedita principalmente all’importazione, grazie agli accordi stretti con una paritetica organizzazione estera, si occupava di far arrivare a Napoli, e successivamente ad assemblare in opifici clandestini o comunque privi di regolare licenza di “rivenditore ufficiale” rilasciata dalla casa proprietaria dei marchi tutelati, prodotti provenienti dalla Turchia. La seconda, invece, era dedita ad una produzione di tipo business to business, costituita da rotoli di pellame serigrafati con loghi di noti brand nazionali ed internazionali, destinati ad una folta schiera di clienti che li utilizzavano per realizzare centinaia di migliaia di articoli falsi. Ai propri clienti questa seconda associazione criminale offriva i servizi di una terza organizzazione specializzata nella commercializzazione di articoli falsi

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