La storia della sfogliatella napoletana è ammantata da un velo di mistero che contribuisce a rendere leggenda il prodotto della pasticceria napoletana per eccellenza.
Si narra che i veri esperti sappiano riconoscerne la mano che le ha dato vita al primo morso. Perché la sfogliatella, tipico dolce della cucina napoletana che ha varcato i confini di Partenope affermandosi sulle tavole e nelle vetrine di tutto il mondo, ha un fascino tutto suo, che non si ritrova in nessun altro dolce tradizionale.
Affondare le ricerche della primogenitura (la cucina di un convento o rito orgiastico) in epoche lontane significa prolungare nel tempo quella piacevole sensazione che soddisfa non solo il palato ma anche la mente. Non solo dei più ghiotti e curiosi.
Tra coloro che hanno sempre vantato una sorta di originalità del proprio prodotto c’è Pintauro, storica pasticceria di via Toledo, nel cuore di Napoli. Qui si troverebbe la sfogliatella più buona semplicemente perché in questo laboratorio sarebbe nata.
Perché è vero che, agli albori dell’800, Pasquale Pintauro cominciò a diffondere nella sua osteria questo particolarissimo dolce che, in breve, ebbe un clamoroso successo al punto da suggerirgli di rivedere il suo core business da oste a pasticcere, è altrettanto vero che il Pintauro altro non aveva fatto che rielaborare, personalizzare ed arricchire una ricetta già esistente.
Le cui origini andrebbero ricercate, come spesso accade nel mondo dolciario, all’interno del panorama monastico dove la clausura sembrerebbe agevolare le sperimentazioni in campo gastronomico.
Andando a ritroso nel tempo, nello spulciare storie, racconti e testimonianze si arriva ad incrociare due diverse comunità monastiche all’interno delle quali potrebbe essere nata la moderna sfogiatella.
Il primo è il convento della Santa Croce di Lucca. Siamo nella zona dei Tribunali di Napoli, non lontano dal Duomo di San Gennaro. A trovare il mix vincente di aromi, crema e ricotta sarebbero state le suore di clausura di stanza nel convento. Tra queste, vuole la leggenda, ci sarebbe stata anche una parente di Pietro Pintauro, al quale avrebbe trasferito idea e ricetta.
Ma a contendere alle suore partenopee il prelibato primato ci sarebbero altre consacrate, di stanza nel convento di Santa Rosa da Lima a Conca dei Marini, in uno degli angoli più suggestivi della Costiera Amalfitana. Come, da qui, la ricetta sia fuoriuscita per raggiungere il cuore di Napoli resta un mistero.
Che alimenta ancor di più il fascino di questo straordinario prodotto di pasticceria che resta unico non solo per il perfetto equilibrio degli ingredienti che gli conferiscono unicità nel panorama dolciario ma anche per la sua forma a conchiglia che, nel tempo, ha indirizzato le ricerche in contesti ancestrali, che riportano addirittura ai bagordi orgiastici che venivano organizzati in onore della dea Cibele, nel corso dei quali, con il nettare degli dei che scorreva a fiumi primeggiavano prelibatezze dolci la cui forma richiamava quella del pube femminile, raffigurato appunta come una conchiglia. Quanto fossero edotte di tale discendenza le suore di clausura non è dato saperlo.
Ma tanto basta a stuzzicare ancor di più la fantasia boccacesca, tra un morso ed un sospiro di piacere.
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